G. Cesare Abba riporta questo colloquio con un frate siciliano. L'autore era convinto che l'unità e la libertà fossero gli unici ideali per cui combattere, ma in Sicilia comprese che la libertà politica non bastava: era necessaria anche la libertà dalla fame e dall'asservimento ai ricchi.

22 maggio.

Mi son fatto un amico. Ha ventisette anni, ne mostra quaranta: è monaco e si chiama padre Carmelo. Vorrebbe essere uno di noi, per lanciarsi nell'avventura col suo gran cuore, ma qualcosa lo trattiene dal farlo.

– Verrei, se sapessi che farete qualche cosa di grande davvero: ma ho parlato con molti dei vostri, e non mi hanno saputo dire altro che volete unire l'Italia.

– Certo, per farne un grande e solo popolo.

– Un solo territorio…! In quanto al popolo, solo о diviso, se soffre, soffre; ed io non so che vogliate farlo felice.

– Felice! Il popolo avrà libertà e scuole.

– E nient'altro! – interruppe ilfrate — perché la libertà non è pane, e la scuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi Piemontesi: per noi qui no.

– Dunque che ci vorrebbe per voi?

– Una guerra non contro i Borboni, ma degli oppressi contro gli oppressori grandi e piccoli, che non sono soltanto a Corte, ma in ogni città, in ogni villa.

– Allora anche contro di voi frati, che avete conventi e terre ovunque sono case e campagne!

– Anche contro di noi; anzi prima che contro d'ogni altro! Ma con il vangelo in mano e con la croce. Allora verrei. Così è troppo poco. Se io fossi Garibaldi, non mi troverei a quest'ora, quasi ancora con voi soli.

– E le squadre?

– E chi vi dice che non aspettino qualche cosa di più?

Non seppi più che rispondere e mi alzai.

Garibaldi stava intanto per sferrare l'attacco decisivo contro i Borboni: il 20 luglio dopo un accanito combattimento riuscì ad espugnare Milazzo e Messina e a liberare così tutta l'isola.

L'esasperazione provocata dalla vana attesa esplose a Brente (4 agosto) in episodi di furore. Nino Bixio, detto il secondo dei Mille, fu inviato dal Governo a sedare la rivolta e la repressione compiuta dagli stessi Garibaldini fu spietata.

Lo sbarco in Calabria. Garibaldi intanto si apprestava a portare a termine la liberazione dell'Italia meridionale. Il 20 agosto sbarcò in Calabria, dove numerosi volontari si unirono ai garibaldini. La marcia procedette rapida, mentre le truppe borboniche si disperdevano. Il 7 settembre Garibaldi entrò a Napoli, accolto con entusiasmo dalla folla. Francesco Ile la sua corte si rifugiarono nella fortezza di Gaeta.

Preoccupazioni di Cavour. Il rapido successo dell'impresa e la grande popolarità di Garibaldi preoccuparono il governo piemontese. Il Cavour temeva l'affermazione delle idee repubblicane. Inoltre voleva scongiurare complicazioni diplomatiche con la Francia, qualora Garibaldi avesse progettato di liberare Roma. Di fronte all'incalzare degli avvenimenti, il Cavour agì con diplomazia e convinse Napoleone III della necessità d'un intervento piemontese, per evitare la formazione di una repubblica mazziniana[7] nell'Italia centro-meridionale, anche perché l'arrivo del Mazzini a Napoli, rendeva più concreta questa possibilità.

Castelfidardo. L'esercito piemontese si mise in marcia per raggiungere Napoli. Nelle Marche, a Castelfidardo, sconfìsse le truppe pontificie che si erano opposte all'invasione.

Mentre i Piemontesi penetravano nel napoletano, Garibaldi, dopo sanguinosi combattimenti, riportava una decisiva vittoria al Volturno (1 ottobre).

Plebisciti. Il 21 e 22 ottobre, le popolazioni di Napoli e della Sicilia furono chiamate ad esprimere la loro scelta politica mediante