Il malcontento serpeggiò nel regno delle Due Sicilie e creò il terreno favorevole alla propaganda rivoluzionaria mazziniana.
La rivolta di Palermo. Il 4 aprile del 1860 scoppiò a Palermo una insurrezione soffocata nel sangue. La notizia degli avvenimenti spinse il siciliano Francesco Crispi, che si trovava esule nel Regno di Sardegna, a chiedere l'intervento di Garibaldi; bisognava approfittare del clima di agitazione per cacciare i Borboni dall'Italia meridionale. Il generale accettò la proposta.
L'impresa garibaldina. Il Partito d'azione. Dopo la seconda guerra d'indipendenza, attorno a Garibaldi si era rafforzato il Partito d'azione cui aderivano uomini di tendenze democratiche, desiderosi di risolvere con l'azione il problema dell'unità d'Italia.
L'impresa trovò l'approvazione di Vittorio Emanuele II; il Cavour, timoroso di un'iniziativa repubblicana, si mostrò contrario, ma non si oppose apertamente, per non diventare impopolare.
Alla spedizione di Garibaldi parteciparono circa Mille volontari, giovani patrioti di ogni ceto sociale che provenivano da tutta Italia e anche dall'estero. Fecero parte dell'impresa tra gli altri Ippolito Nievo, autore delle Confessioni di un Italiano, e Giuseppe Cesare Abba, che nel libro Da Quarto al Volturno redasse il diario della spedizione.
Verso la Sicilia. Dopo essersi impadroniti di due vapori, all'alba del 6 maggio, i Mille salparono da Quarto (Genova). Sostarono brevemente a Talamone, in Toscana, dove si rifornirono di armi, e si diressero quindi verso la Sicilia. Dopo che furono giunti nel porto di Marsala, Garibaldi fece accostare le sue navi a due unità britanniche che erano alla fonda nel porto di Marsala. Le navi borboniche, pertanto, non poterono usare i cannoni per timore di colpire le navi inglesi.
Sbarcati a Marsala (11 maggio), i Mille penetrarono verso l'interno e a Salemi Garibaldi, con un proclama, assunse la dittatura in nome di Vittorio Emanuele (14 maggio).
Con quel gesto Garibaldi indicava che il fine della sua impresa era la realizzazione dell'unità italiana sotto i Savoia.
La conquista dell'isola. Il primo scontro delle «camicie rosse»[5] con le truppe borboniche avvenne a Calatafimi (15 maggio). La battaglia fu durissima; il terreno fu conquistato con assalti alla baionetta, ma a sera la vittoria era dei garibaldini.
Il successo di Calatafimi risvegliò l'entusiasmo generale, perché la povera gente vedeva in Garibaldi, più che il liberatore dall'oppressione politica, colui che avrebbe risolto il problema della fame e dell'oppressione sociale con una giusta distribuzione delle terre.
Conquista di Palermo. Garibaldi inviò alcuni dei suoi nativi dell'isola, ad organizzare bande di «picciotti»[6], giovani volontari siciliani.
Nella difficile marcia di avvicinamento a Palermo, Garibaldi rivelò le sue eccezionali capacità di capo partigiano e guerrigliero. La battaglia per la conquista di Palermo durò per tre giorni e fu durissima; numerosi furono i caduti. Con l'aiuto della popolazione, insorta il 30 maggio, le camicie rosse riuscirono ad espugnare la città. Fu costituito il Governo Provvisorio con a capo Francesco Crispi.
Vennero adottati i provvedimenti più urgenti: le pensioni per le vedove e gli orfani dei caduti in battaglia, aiuti per i mutilati, abolizione di ogni forma di servilismo (fu abolito il titolo di Eccellenza e il baciamano «da un uomo ad un altro uomo») in ossequio al principio dell'uguaglianza e della dignità umana.
Ma i contadini siciliani attendevano ben altro che astratti riconoscimenti di parità. La propaganda garibaldina aveva loro promesso grandi mutamenti sociali: l'abolizione del latifondo e la riforma agraria. Nel giugno cominciarono a verificarsi sommosse nelle campagne. Il Governo Provvisorio, preoccupato di perdere l'appoggio dei grandi proprietari, rimase sordo alle richieste e inviò il La Masa a ristabilire con energia l'ordine.